Gli impressionisti: rivoluzionari pittori della luce
La scena artistica parigina del 1800 era dominata dai Salon, esposizioni biennali dove una giuria composta per lo più di docenti della Accademia di Belle Arti di Parigi selezionava gli artisti “degni” di essere lanciati sul mercato ed essere considerati professionisti. I principi su cui si basavano le selezioni delle opere e degli autori erano quelli che si erano consolidati all’Accademia Francese sin dal XVII secolo: il primato del disegno e del chiaroscuro sui colori ed una rigida gerarchia di temi considerati idonei ad un’opera d’arte: temi mitologici, con figure spesso idealizzate, paesaggi storici. Anche la tipologia di finitura e stesura del colore era codificata: si richiedeva una pennellata liscia ed invisibile con un risultato patinato che si otteneva dopo un lungo studio passato negli atelier dove si svolgeva la gran parte del lavoro dell’artista. Se alcuni oppositori si ribellarono, con più o meno successo ai dettami degli accademici, i realisti per la scelta dei temi legati alla quotidianità e Delacroix per il suo colore, gli impressionisti furono il primo gruppo di pittori che riuscì a scardinare lo stato delle cose imposto dalle accademie.
Nel 1863 il gran numero di opere rifiutate dal Salon spinse l’allora imperatore Napoleone III ad aprire un Salon de refuseé in modo da consentire al pubblico di poter vedere le opere scartate dalla giuria ufficiale. Le critiche furono feroci e notevoli furono le difficoltà dei nuovi artisti a imporsi nel gusto e sul mercato dell’epoca. Ma il mondo dell’arte era stato rivoluzionato per sempre. I nuovi artisti abbandonarono i soggetti classici prediligendo i luoghi di quella che era la classe sociale emergente: la borghesia. Caffè, teatri, stazioni delle ferrovie, insieme ad opere realizzate non più in atelier ma en plein air che riprendono momenti della vita quotidiana della nuova classe emergente. Influenzati dalla recente invenzione della macchina fotografica questi nuovi artisti rivoluzionari incominciarono a cimentarsi in uno studio di inquadrature sempre più audaci che porterà all’abbandono, dopo oltre tre secoli, della prospettiva.
Rivoluzionario fu anche il nuovo uso del colore. I nuovi studi condotti dal chimico Chévrel portarono nel suo testo “Sulla legge del contrasto simultaneo dei colori“, pubblicato nel 1839, ad una sistematizzazione scientifica dei risultati fra gli accostamenti di colori ed in particolare sull’uso dei colori complementari. Studi che furono poi ripresi dal più conosciuto dagli impressionisti, Herman von Helmotz. Egli scriveva: “Se quindi coi pigmenti a sua disposizione l’artista desidera produrre nel modo più stupefacente possibile l’impressione data dagli oggetti, deve dipingere il contrasto che essi producono”.Gli effetti della luce naturale sono, quindi, riproducibili solo tramite l’uso dei contrasti.
Ma come afferma Philip Ball: ” Non basta il pensiero intellettuale astratto a provocare da solo una rivoluzione nell’arte, né questa può essere semplicemente alimentata dalla reazione contro convenzioni stantie. Si potrebbe dire che i fenomeni più eccitanti, da questo punto di vista, si verificano quando tali forze si incontrano con le possibilità offerte agli artisti dai nuovi materiali.” Oltre agli studi sulla percezione del colore in questo periodo assistiamo ad altre innovazioni tecniche che hanno permesso l’innovazione degli impressionisti. La prima fu l’invenzione da parte di un ritrattista americano , John Rand ,dei tubetti di colore in stagno al posto della vescica di maiale. Questa innovazione favorì il lavoro all’aria aperta di molti impressionisti. La seconda fu l’introduzione di pigmenti sintetici dai colori molto vivi come il giallo,limone, giallo cromo, giallo cadmio,verde smeraldo, blu cobalto, verde cromo ed altri.
Spesso questi colori vennero utilizzati dagli impressionisti quasi senza essere miscelati, accostando fra loro i colori complementari per aumentarne l’intensità ed il contrasto, con pennellate spesse e nette. Dalla tavolozza degli impressionisti sparirono anche gli ocra, tanto cari alla tradizione dell’accademia, il bianco ed il nero. Renoir una volta disse ad un suo studente:” in natura il bianco non esiste: devi riconoscere che sopra la neve hai un cielo. Questo cielo è azzurro, questo azzurro deve rispecchiarsi nella neve; al mattino in cielo ci sono verdi e gialli…alla sera rosso e giallo dovrebbero apparire nella neve” , il bianco impressionista viene quindi spezzettato nei frammenti del suo spettro, acquistando le moltitudini di colori di cui si riflettono gli oggetti bianchi.
Anche il nero viene quasi abolito nella tavolozza degli impressionisti e sostituito o con una mescolanza di tutti i pigmenti tranne il giallo ed il bianco, od utilizzato il complementare del giallo: il violetto.
Se i quadri impressionisti ci emozionano con la loro bellezza, non si può dimenticare che questa bellezza è l’inizio di una rivoluzione dell’arte i cui frutti saranno evidenti nell’arte contemporanea.
Bibliografia e sitografia
Martin Kemp, L’arte nella storia,Torino 2015, Bollati Boringhieri
Philip Ball, Colore, una biografia Edizioni Bur 2014
2 commenti
Graziella
Molto interessante e non banale. Felicissima la scelta di riprodurre in apertura due quadri di De Nittis che è stato, come ha sempre sostenuto Giovanni Lamacchia che ha pubblicato un libro dallo stesso titolo, il Capofila degli Impressionisti.
Valentina Mander
Un’analisi illuminante, sapere che quello che ci emoziona e colpisce vedendo un opera è frutto di tante componenti, la chimica, il semplice cambio di un contenitore per i colori…piccole cose che diventano strumenti per grandi svolte…bello!