L’arte è un giardino!
Itinerari artistici e simbolici tra i giardini d’Oriente e Occidente.
Vagabondando tra i simboli artistico-culturali delle varie civiltà apparse sulla terra accade ogni volta di incontrare un giardino.
Questo luogo, inteso in maniera metaforica come espressione della bellezza del creato e casa primigenia dell’uomo, popola le cosmogonie di ogni tempo e di ogni cultura e al lettore curioso risulta impossibile non avventurarsi nella sua affascinante storia.
Antica Mesopotamia. Il primo luogo del mondo è un giardino
La più antica citazione di un giardino sembra appartenere alla religione zoroastriana il cui fondatore Zoroastro o Zaratustra, nacque nell’antica Persia tra il IX e il VII secolo A. C. ed è contenuta nei sacri libri dell’ Avesta in cui si racconta che il dio della luce Ormuzd aveva fatto sorgere dall’argilla la prima coppia umana e l’aveva posta in un “ giardino meraviglioso illuminato dalla luce di un’eterna alba”.
Questo luogo era circondato da quattro fiumi e copiosamente irrigato da numerosi ruscelli.
Tutte le creature che vi abitavano vivevano in uno stato di perfezione assoluta e tutto contribuiva a farne un luogo di profonda felicità.
Ma Ahriman, uno degli spiriti che aveva avuto dal dio il compito di portare la luce nel firmamento, lasciò cadere la torcia che gli era stata affidata per compiere questa missione e si ribellò al suo Signore.
Per punirlo Ormuzd lo scacciò dal giardino e lo fece precipitare in fondo agli abissi là dove divenne il signore delle tenebre, l’incarnazione del male.
Da allora si scatenò una guerra implacabile tra la luce e il buio, lotta che vedrà la sua fine soltanto alla fine dei tempi quando il mondo avrà ritrovato la sua perfezione originale.
L’universo si scisse in due parti simmetriche che si fronteggiavano: il mondo celeste, che continuava a esistere nel suo stato di perfezione e un mondo terrestre che lo riproduceva in forma imperfetta e degradata.
L’uomo e la donna non erano direttamente responsabili di questo stato di cose, erano troppo deboli per prendere parte alle vicende degli dei , ma avendo parteggiato per Ahriman, erano stati scacciati dal mondo celeste e vivevano in condizioni miserevoli, costretti a grattare la terra per assicurarsi la sopravvivenza.
La loro sorte era ancor più pietosa in quanto non avevano dimenticato il loro passato e il lancinante ricordo del Paradiso perduto non dava loro pace.
Ormuzd allora fu mosso da pietà: li sciolse dal potere di Ahriman e diede loro la libertà di optare se continuare a caldeggiare la vittoria delle tenebre o contribuire al trionfo della luce: ciò li avrebbe resi attori del dramma cosmico che lacerava il mondo, di cui in tal modo essi stessi avrebbero potuto accelerare o ritardare la conclusione.
Per facilitare la loro redenzione e “orientarne gli sguardi nella giusta direzione” Ormuzd insegnò loro la difficile arte di costruire giardini, in altre parole a rifare dei Paradisi sulla terra, repliche del perduto giardino celeste poiché : “ chiunque costruisce un giardino diviene anch’egli un alleato della luce! Si è mai visto infatti un giardino crescere al buio?”
Gli uomini, a seconda degli sforzi fatti per abbellire e arricchire il giardino terrestre avrebbero contribuito a avvicinare, poco alla volta, i due mondi riducendone progressivamente la distanza di separazione e accrescendone le rassomiglianze sino a giungere a una perfetta identità.
Il giorno in cui il paradiso terrestre e il paradiso celeste sarebbero ritornati uguali il bene avrebbe definitivamente trionfato sul male e gli effetti della caduta definitivamente cancellati.